Bisogna, ch’abbino a mente le leggi, le pratiche del palazzo, le ragioni del principale e li casi seguiti per non uscir del termine, per non errar nell’ordine, per non perder nel merito e per non mancar d’essempio. Bisogna loro studiar ben le scritture, intender ben le ragioni, formarne e produrne di nuovo, spiar le cautelle dell’aversario, far mine, contra mine, consigliar la causa con altri avocati ed ecco qui maggior disturbo e disordine perché ben spesso non son d’accordo e chi ha una opinion e chi n’ha un’altra e ad accordarsi bisogna tornar a pensarvi, lambicarsi il cervello ed in fine quando si ha pigliato un buon termine, conviene prepararsi a parlar dinanzi a tribunali e quivi aver grand’animo, gagliarda voce, pronta memoria, vive ragioni, gratificar il giudice, sostentar il rigor della giustizia, la pietà o necessità del caso e l’onestà della dimanda o della risposta».
«Con tutto ciò - disse Lucrezia - si perdon tante cause».
«Che volete far - rispose Corinna - è forza che un perda e l’altro guadagni; ma sapete cosa fa danno spesso a i litiganti, la troppa loro importunità e ’l non fidarsi d’un solo, quando si conosce, che procede lealmente con diligenzia e con amore, perché come il vario parer de diversi medici (come si è detto) fa spesso tuor di mezo l’amalato, così la diversa opinion delli avocati, amazzan le cause».
«Si dice pur - disse Elena – che ’l mondo è de i soliciti».
«Sì - rispose Corinna - ma con discrezione ed in tempo opportuno».
«Certo - disse Lucrezia - che fra le molte miserie di questa misera vita, reputo molto notabile quella de i poveri litiganti, che mai vivono un’ora in riposo ed io l’ho provato a mio costo, che nel tempo che io feci lite, stetti sempre in pena, né tanto mi travagliava la continova spesa, quanto il continuo travaglio che apporta seco questo tedioso negozio».
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