«Sarebbe ingiusto e crudele - replicò Corinna - perché il vero giudice non deve esser appassionato, né lasciarsi vincere dall’affezion del proprio interesse, ma giudicar rettamente anco contra se medesimo».
«Certo - disse la Regina - bisogna anco che questi signori giudici abbino un gran giudicio e siino di pura conscienzia per giudicar le parti con lealtà e discrezione e quando il giudice vien conosciuto per tale, non può né deve alcun dolersi, se ben gli vien fatto contra».
«In tutti li Regni e Republiche - disse allora Lucrezia - credo ben che vi siano leggi e giudici per ben regger i popoli, ma non meglio quanto in questa nostra gloriosa città, dove son leggi santissime, degne di esser abbracciate ed essequite da qualonque dominio, non altramente che si facessero i antichi tempi quelle della prudentissima Atene. De nostri senatori che giudicano, poi non si può esprimer con lingua umana la prudenza, la giustizia e la benignità».
«Sì certo - aggiunse la Regina - ma dite pur della bontà e gentilezza singolare di tutta la nobiltà di questa terra. Ben se ne può ella gloriare ed anco di cittadinanza certo e popolo all’incontro fedele ed amorevole».
«Ma che diremo poi - disse Corinna - già che siamo in questo ragionamento, delle tante divine eccellenzie del nostro serenissimo Prencipe?».
«Oh - riprese la Regina - è cosa impossibile accennarne pur la millesima parte».
«Ogni volta ch’io veggio - disse Lucrezia - e che ammiro quella venerabil presenza che move gli animi de’ suoi sudditi, anzi pur di ciascuno, ad amarlo e riverirlo insieme, fammi sovvenire di quella famosa vittoria, nella qual riuscì egli così segnalato, che l’onorata sua spada ha perciò cangiato in quel glorioso corno ducale».
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