«In conclusion poi - disse Leonora - se ben un poeta grazioso è atto a trattar d’ogni materia felicemente, tuttavia a far cosa, ch’abbi grazia e sia ottima da dovero, parmi che si convenga aver degna materia da discorrere».
«Così è - disse Corinna - e se poi vogliamo noi giudicar rettamente, qual più degna e più graziosa materia si può trovar (parlando di cose mondane) della bellezza, grazia e virtù delle donne? Perché, se ben alcun tratta le lodi di alcun prencipe, o persona illustre che abbia in sé rare e maravigliose qualità, ben è degno d’udirsi, ben diletta nel leggersi, ma per la gravità che se li conviene, la qual più tosto ricerca un’elegante prosa che la dolcezza del verso, non ha in sé quella vivacità, quella forza di robbar i sensi, di appartar l’anime da i corpi, di far levar lo spirito in estasi, come una propria e polita descrizione della bellezza o esteriore o interiore di alcuna gentile e valorosa donna, che apporta al diligente poeta la dolce varietà di mille belle invenzioni».
«Or che dite voi - disse Lucrezia - a proposito di questa materia che sia più da commendare, la forma interna dell’anima proporzionata nelle sue potenze o l’apparenza del corpo ben disposta nelle qualità de lineamenti, delle fattezze e dei colori?».
«Dico - rispose Corinna - che è da stimar molto la perfetta disposizion della forma apparente corporale, come quella che è la prima ad appresentarsi all’occhio ed intendimento nostro ed in un punto è vista, amata e desiderata per nostro instinto e proprietà naturale; ma è poi di molto maggior eccellenza e dignità la bellezza dell’animo e dell’anima, per esser non solo riposta in parte più nobile, ma per esser ella di quella stessa nobiltà e dignità ancor partecipe; poiché a guisa di fior caduco, che nel matin nascente s’apre tenero e fresco ed al cader del sole, o prima per furor di pioggie e venti casca fracido e secco, così la bellezza del corpo o per infermità, o travagli, o per molti anni invecchiando vien a perdersi a fatto e resta di nissun merito degna, ma quella che intrinsicamente è posseduta dall’uomo, che è la virtù in più forme distinta, è non solo infinita, ma incomprensibile ed immortale e non si ponno così facilmente esprimere i suoi divini ornamenti, né in prosa, né in verso.
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