Fu anco nelle nozze della suddetta signora Gracimana dato fuori un sonetto da un mio caro amico che diceva, se ben mi ricordo, in questa maniera:
La più bella stagion di fior ridenteCon la fervida state luminosa
Del verno si ridea, che secca e ombrosaAvea la spoglia, e ’l crin di neve algente.
Quand’ei nel maggior freddo il più lucenteSol fé apparer, e così fresca rosa
V’aggiunse, e seco una qual cara sposaCh’a se diè gloria ed allegrò ogni mente.
Coppia gentil, del divin merto vostroQuando pompa spiegar con maggior vanto
Fior più leggiadri, o più gioconda spera?
Se tal miracol dura, il secol nostroBramerà ’l verno: or che ei vince di tanto
Il sol di state, e i fior di primavera.
Si dilettavano molto le vaghe donne di udir così Corinna recitar loro, quando uno e quando un altro grazioso sonetto sopra materia così degna e delicata, ed avendola commendata molto, Lucrezia le disse:
«Io conosco tra l’altre una gentildonna in questa città, che ben si può chiamar un’idea, un miracolo e un maraviglioso mostro di bellezze quasi angeliche, di grazie sopranaturali e di virtù mirabilissime, la qual non è possibile che voi altre ancora non conosciate essendo così notabile e signalata».
«Chi è costei?» disse la Regina.
«È - ritolse Lucrezia - la graziosissima signora Chiara Loredana moglie del clarissimo signor Giovanni Querini, valorosissimo gentil uomo, di regal presenza e di eccellenti costumi».
«Come - ripigliò la Regina - voi non volete che ’l sol sia noto? Ella è così chiara d’ogni suprema gloria e così ricca e splendida di tesori celesti, così dell’animo, come del corpo, che senza che l’aveste nominata quasi sapeva apponermi de chi volevate inferire».
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