«Quello forse in materia amorosa - disse Corinna - che mi fu dato da dovero da un gentil uomo mio parente?».
«Quel - rispose Cornelia - ditelo vi prego». Corinna allora recandoselo a memoria spiegò loro il seguente madrigale:
Voi mi affligete a torto,
E volete ch’io taccia,
Ed io che di piacervi ho sol desioSofro il gran dolor mio,
E morrò volontier, quando vi piaccia;
Anzi morendo avrò gioia e conforto,
Pur che sappiate poi,
Crudel, che al fin sarò morto per voi.
«Tutte le sorte de composizioni - disse Cornelia - ricercano per mio giudicio una conclusion di molta sostanza, ma sopra tutte questi madrigali vogliono aver, si può dir, più concetti che parole, e che siano molto concludenti».
«Voi la intendete - disse Corinna - ma uditene un altro a questo proposito:
Deh, come cieco io sonoDella mente, foss’io de gli occhi ancora
Per non veder oime quel, che mi accora:
O pur, sì come io veggioPur troppo, oime, con gli occhi de la fronte
Le luci avess’io ancor de l’alma pronteChe così amore o sdegno
Di me compita avrebbe intera palmaSendo Argo, o talpa tutta e d’occhi e d’alma.
«Questi regressi o corrispondenzie - disse Leonora - hanno molto del buono nelli versi; ma parriano molto meglio ne gli uomini verso di noi e saria questa la più bella e dolce musica, se si accordassimo un tratto e facessimo questa santa pace insieme di altra che si potesse udire nel mondo».
«Così pare anco a me» disse Corinna. Ma Elena soggiunse:
«Mi accordo pur io con lo mio sposo, se non avete avuto voi altre mo’ questa grazia, è colpa della vostra disavventura e non di loro».
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