Tomaso Costanzo, cavaliero di maravigliosa virtù e valore, la cui vita fu molto essemplare, la morte molto pianta e la fama molto chiara; le cui ossa di Fiandra ridotte in Padova, onorate di marmi e lodi infinite, riposano con molta gloria delle tante fatiche e la sua rara milizia, celebrata da molti degni spiriti, lascia essempio a posteri di bene e virtuosamente operare».
«Io l’ho udito ricordar - dice la Regina - con estrema laude e parmi che gli si fabricasse un’opera tra l’altre a suo nome molto stupenda intitolata il Mausoleo».
«Ed io ho veduto - disse Corinna - alcune rime appartate pure in questa materia tra le quali mi posi a mente un sonetto che, se ben mi ricordo, parmi che dicea così:
Leggiadro spirto in prezioso velo,
Che arricchì Dio di grazie e di favoriScese da l’alto Empireo, e frutti e fiori
Di valor, di beltà portò dal cielo;
Sue divine virtù l’armar di zeloReligioso, e i giovenili ardori,
Onde ei Marte d’invidia arse e i furoriDi Marte vinse, e di Fortuna il telo.
Fur l’opre in somma angeliche e la forma,
E pendea ’l mondo, in sì mirabil mantoS’egli era eletto spirto, od uom mortale,
Ma troppo, ahimé, d’onor seguend’ei l’ormaMore, e morto per lui, che ’l fé immortale
Trasse il mondo di dubbio, e ’l pose in pianto».
«Fanno molto da prudenti - disse la Regina - a venerar così la vita e la fama di tali lor benemeriti, poiché danno per ciò animo a gli altri di non risparmiar la lor vita con sì generosa speranza; ma lasciando star i morti, vive a i nostri dì l’illustrissimo ed eccellentissimo signor Gio.
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