«Porterei sopra l’elmo la Fenice» disse ella. Ed Elena aggiunse:
«Voi vorreste imitar quella gran Marfisa, di cui era la Fenice insegna e di cui parlando quel leggiadro poeta disse in tale proposito:
O sia per sua superbia, dinotandoSe stessa unica al mondo in esser forte,
O pur sua casta intenzion lodando,
Di viver sempremai senza consorte».
«Che colori voresti portar? - disse Verginia - e che livrea sarebbe la vostra?».
«Vorrei - disse Leonora - aver l’arme e sopravesta bianca da novel cavagliero e nello scudo un giogo d’oro rotto nel mezo che significasse libertà».
«Quella candidezza - disse Cornelia - avrebbe ben del buono a dimostrar la semplicità e purità nostra; ma parmi che ’l color verde vi si converrebbe molto meglio, per arreccarci speranza della vittoria e che perciò l’impresa del lauro saria più a nostro proposito, secondo quel verso:
Arbor vittoriosa e trionfale.
e quell’altro:
A la vittoriosa insegna verde».
«Basta - disse Leonora - fussimo pur ne i termini, ch’io dico, che poi allora faressimo l’elezione di quel che vi paresse il meglio».
«Il color verde e gialo insieme misto - disse Corinna - più tosto saria conforme e proporzionato alla nostra condizion per la poca speranza che avemo di mai acquistar la grazia de gli uomini, essendo essi così ostinati e perversi contra di noi; che se ben ci fusse dato d’acquistar le lor persone per forza, mai non acquisteressimo la lor volontà per amore».
«E però - disse Lucrezia - saria meglio che noi vestissimo il vermiglio chiaro a dinotar la desiderata vendetta contra di loro, con l’impresa del Sole confuso tra la nebbia, che stesse per ispuntar fuori e col moto che dicesse: In nube spero».
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