Erano le due metà della città antica che qui lottavano fra di loro in legittima gara.
Allora le Esquilie (il qual nome, propriamente usato, esclude le Carine) erano, secondo il significato della parola, le costruzioni esterne (ex-quiliae, come inquilinus, da colere) ossia il suburbio, che nella successiva divisione della città divennero il terzo quartiere, e questo, come pure il Suburano e il Palatino, fu sempre tenuto in minore considerazione. Anche altre vicine alture, come il Campidoglio e l'Aventino, possono essere state occupate dal comune dei sette colli, nonchè il ponte sui pali (pons sublicius), sopra i pilastri naturali dell'isola tiberina, che sarà esistito già allora, come lo prova a sufficienza il collegio pontificale, e non si sarà lasciata senza difesa la testa di ponte sulla riva etrusca e la cima del Gianicolo. Ma il comune non li aveva ancora racchiusi nella sua cerchia di fortificazioni.
La necessità che il ponte potesse da un momento all'altro, per ragioni strategiche, venire distrutto o arso, fece nascere la massima rituale che i ponti fossero volanti e costruiti esclusivamente di legno. Con ciò si spiega come per lungo tempo il comune romano abbia dominato il passaggio del fiume solo in modo incerto e saltuario. Ma non è possibile stabilire una relazione tra queste colonie gradatamente sorgenti e i tre comuni nei quali Roma si divideva legalmente già da tempo immemorabile. Poichè i Ramni, i Tizi e i Luceri sembrano esser stati originariamente comuni indipendenti, essi devono naturalmente aver colonizzato in origine e ciascuno per proprio conto; ma sui sette colli essi certamente non hanno abitato in valli separati e ciò che nei tempi antichi o nei moderni è stato inventato attorno a quell'epoca, verrà relegato dall'intelligente investigatore tra le graziose favole di Tarpeia e del combattimento sul Palatino.
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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 327 |
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