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      Sotto questo rapporto la moglie ed i figli sono nella identica condizione dello schiavo, al quale non di rado era concesso di avere una famiglia e, dietro autorizzazione del padrone, anche di alienare. Il padre poteva persino vendere ad un terzo il proprio figlio, come faceva dello schiavo; se il compratore era uno straniero il figlio diveniva suo servo, se egli era romano il figlio passava nelle mani del compratore come servo di fatto e non di diritto, perchè un romano non poteva essere servo d'un altro romano. La potestà patria e maritale non era sottoposta ad alcuna restrizione. Oltre l'accennata limitazione alla esposizione dei fanciulli, la religione pronunciava anche l'anatema contro colui che vendesse la propria moglie o il proprio figlio ammogliato; e gli stessi usi famigliari stabilirono che il padre, e più ancora il marito, nell'esercizio della giurisdizione domestica, non pronunciassero la sentenza sul figlio e sulla moglie senza aver primo consultato i più prossimi parenti tanto suoi che della moglie. Ma in questo ancora non v'era una giuridica diminuzione di potestà, poichè i parenti, che assistevano al tribunale domestico, non sedevano a giudicare, ma solo a consigliare il giudice padre di famiglia. La potestà domestica non soltanto era illimitata e non soggetta ad alcuna responsabilità, ma era invariabile ed indistruttibile finchè il padre viveva. Secondo la legislazione greca e la tedesca il figlio, divenuto maggiorenne, e perciò già indipendente di fatto, lo era di diritto, libero dalla patria potestà; a Roma la patria potestà non cessava nè in grazia dell'età, nè della demenza, nè per la stessa volontà del padre finchè questi era in vita: essa cessava solo nel caso che la figlia, in seguito a legittimo matrimonio, passasse dall'autorità del padre a quella del marito, dalla famiglia sua e dai suoi penati alla famiglia e sotto i penati del marito e divenisse soggetta a questo come fino allora era stata soggetta a suo padre.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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