Ma si cadrebbe in un grave errore se si volesse fare della costituzione romana una teocrazia. I concetti di dio e di re non si sono mai confusi nella mente degli Italiani, come avvenne in Egitto e in Oriente. Il re non è il dio del popolo, è piuttosto il proprietario dello stato. Di fatti non vi ha cenno di alcun particolare favore divino accordato ad una o ad altra dinastia, o di un qualche misterioso prestigio pel quale il re fosse d'altra natura che il resto degli uomini; la nobile discendenza, la parentela coi re anteriori sono bensì raccomandazioni, ma non una condizione, poichè in via di diritto ogni cittadino romano, sano di mente e di corpo, raggiunta l'età voluta, può pervenire al regno22. Il re non è altro che un cittadino comune, elevato dal merito o dalla fortuna, e più dalla necessità che vuole ogni cosa retta dal suo padrone, a dominare i suoi simili, contadino sui contadini, guerriero sui guerrieri. Nel modo che il figlio ubbidisce ciecamente al padre, nè per questo si stima da meno di lui, così il cittadino si sottomette al sovrano senza crederlo perciò migliore di lui. In questo concetto sono compresi i limiti, in cui la consuetudine e le idee romane contenevano il regio potere. Il re poteva bensì commettere molte ingiustizie anche senza ledere il pubblico diritto, poteva menomare la parte del bottino a coloro che avevano partecipato ai combattimenti, poteva imporre gravezze eccessive e stremare con angherie il patrimonio dei cittadini; ma così facendo egli dimenticava che il suo potere non gli veniva da dio, ma col consentimento di dio gli veniva dal popolo che egli rappresentava: e chi lo proteggeva se questo popolo si dimenticava del giuramento che gli aveva prestato?
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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 327 |
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