Quando uno straniero per determinazione del comune veniva aggregato (cooptare) ai cittadini, egli poteva rinunciare alla sua precedente cittadinanza, e allora soltanto entrava pienamente nella nuova comunità, ma poteva anche unire alla vecchia la nuova cittadinanza concessagli.
Quest'uso era antichissimo e fu sempre mantenuto nell'Ellade, dove, anche più tardi, uno stesso individuo era cittadino di parecchi comuni. Ma il sentimento comunale, assai più sviluppato nel Lazio, non permetteva che si potesse appartenere contemporaneamente a due comuni, e nel caso che il cittadino aggregato non avesse l'intenzione di rinunciare alla sua precedente cittadinanza, la sua nomina di cittadino onorario non conferiva allo straniero altro diritto che quello della paterna protezione o patronato. Ma non ostante questa severa limitazione, nell'interno del comune romano veniva allontanata ogni differenza giuridica tra i suoi membri. Già si è detto che le differenze esistenti nell'interno della casa, che certamente non si potevano sopprimere, erano quasi ignorate quando si trattava di rapporti pubblici. Colui che, nella qualità di figlio, era soggetto al padre, poteva in un dato caso comandargli come signore del comune.
Non esistevano però i privilegi di casta. I Ramni e i Tizi, come tribù più antiche del comune, ottennero bensì il primo posto tra le tribù; e così pure i cittadini anziani (maiores gentes), come famiglie appartenenti al comune romano da tempi immemorabili, si distinguevano dai neocittadini (minores gentes), appartenenti cioè a famiglie la cui ammissione nella cittadinanza risaliva a un avvenimento conosciuto, come le famiglie albane ammesse in Roma per decreto del popolo dopo la caduta d'Alba.
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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 327 |
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