Che poi non di rado anche i vinti, o tutti o in parte, siano stati costretti a prendere dimora stabile nel nuovo capoluogo, meglio che tutte le leggende latine lo prova la massima del ius pubblico romano, la quale concedeva il diritto di allargare la sacra cinta delle mura della città (il Pomerium) soltanto a chi avesse esteso i confini del territorio. Ai vinti, fossero o no trasferiti nella capitale, giusta le norme costitutive, era naturalmente imposto l'obbligo della clientela; ma alcuni individui o alcune famiglie ebbero però anche in dono la cittadinanza, cioè il patriziato. E ai tempi dell'impero si riconoscevano ancora le genti albane associate alla cittadinanza romana dopo la caduta della loro patria, fra cui i Giulii, i Servilii, i Quintilii, i Clelii, i Gegani, i Curiazi, i Metilii; e i loro santuari domestici, nel territorio albano, come ce lo prova quello delle genti Giulie a Boville, salito in tanta fama ne' primi tempi dell'impero, conservarono la memoria della loro origine.
Nondimeno questa centralizzazione di molte, piccole comunità in una comunità maggiore era tutt'altro che una particolare idea romana, giacchè lo sviluppo della regione latina, come pure della sabellica, si fonda tutto su questa antitesi tra l'unificazione nazionale e l'autonomia comunale, mentre lo stesso si può dire di tutta l'evoluzione ellenica.
Da una analoga fusione di parecchi distretti in una città nacquero Roma nel Lazio e Atene nell'Attica; e lo stesso metodo il saggio Talete consigliava alle città ioniche, minacciate dal prepotere degli stati asiatici, quale unico mezzo di salvezza per la loro nazionalità.
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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 327 |
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