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      Pare che la giurisprudenza romana si compiaccia e trionfi nell'aguzzare le più aspre angolosità, e tirare da ogni principio le estreme conseguenze, presentando violentemente, anche ai più lenti intelletti, il lato inesorabile del senso giuridico. La forma poetica, la penetrazione affettuosa, che informano piacevolmente gli ordini giudiziarii dei Germani, sono ignote ai Romani; nel loro diritto tutto è chiaro e conciso, non vi è alcun simbolo, e nessuna istituzione è di troppo. Non è crudele; ma tutto ciò che è necessario si esegue senza esitazione e senza temperamenti, anche la sentenza di morte. Che il libero cittadino non possa essere torturato è un principio antichissimo del diritto romano, per conseguire il quale altri popoli furono costretti a combattere migliaia d'anni. Ma lo stesso diritto romano colla sua inesorabile severità – che non si deve credere affatto mitigata da una pratica umana, poichè è un diritto di popolo – sostituì alle pene corporali una minaccia terribile, più terribile che non fossero i Piombi e le celle di tortura, le prigioni dei debitori insolventi, che in ogni casa signorile questi disgraziati vedevano in lunga fila allineate come sepolcri pronti ad ingoiarli vivi. Ma con ciò appunto si spiega la grandezza di Roma: il popolo stesso si è imposto e ha sopportato un diritto in cui dominavano, e oggi ancora dominano, nè falsati nè mitigati, gli eterni principî della libertà, della proprietà e della legalità.
     
     
      DODICESIMO CAPITOLO
     
      RELIGIONE
     
      1 Religione romana.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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