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      ». Quindi la profonda convinzione che si debba gelosamente serbare segreto il nome del vero genio tutelare del comune, affinchè non lo apprenda il nemico, e chiamando il dio col suo nome, non l'adeschi al di là dei confini. Un resto di questo potente concetto è particolarmente unito alla più antica e più nazionale delle divinità, cioè a Marte. Se poi si considera che l'astrazione, fondamento di ogni religione, cerca sempre d'innalzarsi a più elevata sfera, e di penetrare sempre più profondamente nell'intima natura delle cose, si deve riconoscere che le immagini della fede romana fluttuano in una plaga incredibilmente vicina alla terra, e in una specie di crepuscolo dell'intuizione e dell'idea. Se per il Greco ogni fenomeno espressivo si allarga rapidamente e si vivifica in un gruppo d'immagini, e quindi in un ciclo di leggende e di idee, per il Romano invece si arresta al concetto fondamentale nella sua originaria e limitata immutabilità. La religione romana non ha nelle sue scarse e aride creazioni, nulla che anche lontanamente possa contrapporsi al culto apollineo, trasfigurazione d'ogni bellezza corporea e morale, nè alla divina ebrezza dionisiaca, nè ai profondi ed arcani riti etonici77, nè al simbolismo dei misteri. Essa ha bensì anche l'idea d'un «dio cattivo (Ve-diovis), della divinità della malaria, della febbre, del morbi e forse anche del furto (laverna), e la coscienza di apparizioni di fantasmi (lemures), ma tutto ciò non è atto a produrre quel sacro orrore del terribile e dell'ignoto, a cui tende l'anima umana, nè a spingere il pensiero verso l'incomprensibile, o personificarlo col male, che si trova nella natura e nell'uomo, e che è pure un aspetto che non deve mancare alla religione, se in essa ha interamente da estrinsecarsi e da manifestarsi tutto l'uomo.


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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