Questo culto divino, nello stesso tempo domestico e pubblico, era considerato dai Romani come il più sacro e fu quello che di fronte all'avanzare del Cristianesimo scomparve per ultimo.
A Diana, quale rappresentante della federazione latina, fu assegnato l'Aventino, ma appunto per questo non si stabilì per lei uno speciale sacerdozio romano e a poco a poco il comune si abituò a venerare numerosi altri aspetti della divinità, in modo deciso, per mezzo di pubbliche solennità, oppure di sacerdoti particolarmente destinati al loro culto e ad alcuni di questi, come ad esempio a Flora, dea dei fiori, e a Pomona, dea delle frutta, era destinato un solo flamine, così che il numero di questi ascese fino a quindici. Fra tutti però si distinguevano i tre più antichi grandi flamini (flamines maiores) i quali, fin dall'epoca più remota, si dovevano scegliere soltanto fra i più antichi cittadini, come le antiche confraternite dei Salii palatini e quirinali mantenevano sempre la preminenza nella gerarchia dei collegi sacerdotali.
In questo modo i servizi permanenti e necessari per gli dei furono dallo stato, una volta per sempre, affidati a determinate corporazioni o a stabili ministri, e per coprire le ingenti spese dei sacrifici, probabilmente saranno stati assegnati ai singoli templi, in parte certi terreni e in parte le multe.
Non è da porsi in dubbio che il culto pubblico degli altri comuni latini, e probabilmente dei sabellici, fosse in origine della stessa natura; almeno è provato che i flamini, le vestali, i salii e i luperci erano istituzioni latine e non speciali ai Romani e almeno i tre primi collegi non pare siano stati nei comuni affini modellati su quelli romani.
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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 327 |
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