Ma la forma delle idee divine del Lazio rimase affatto trasparente e inconsistente, cosicchè nè l'artista, nè il poeta trovarono materia da esercitarvisi; perciò il culto romano rimase sempre indifferente, anzi avverso alle arti belle. E siccome il dio non era nulla per sè, e non doveva essere che l'orma spirituale d'un'apparizione terrestre, così era naturale ch'egli trovasse appunto nel suo tipo terrestre la sua dimora (templum) e la sua rappresentazione. Le pareti e gli idoli fatti dalla mano dell'uomo sembravano solo turbare ed annebbiare le immagini spirituali. Perciò l'originario culto dei Romani era senza figure divine e senza templi; e sebbene anche nel Lazio, probabilmente ad imitazione dei Greci già ben presto si adorasse il dio in effigie e gli fosse innalzata una cappella (aedicula), questa rappresentazione figurata era considerata come contraria alle leggi di Numa, e in generale, come impura e straniera82. Ad eccezione forse del bicipite Giano, la religione romana non ha alcuna propria immagine di dio, e ai suoi tempi Varrone beffeggiava la plebaglia che voleva aver fantocci e immaginette. Il difetto di ogni forza generatrice nella religione romana è anche l'ultima causa, per cui la poesia romana, e più ancora le speculazioni romane furono e rimasero sì compiutamente nulle. Ma anche sul terreno pratico si manifesta la medesima indifferenza. L'unico vantaggio pratico, derivato al comune romano dalla sua religione, fu una legge morale formulata e applicata dai sacerdoti e particolarmente dai pontefici, la quale rafforzava l'ordinamento giudiziario, e, in quel tempo ancora tanto lontano della compiuta tutela politica del cittadino privato, faceva in qualche modo l'officio delle leggi preventive e di vigilanza; ed oltre a ciò traeva innanzi al tribunale degli dei e rafforzava con pene religiose gli obblighi morali, che non potevano essere sanciti o che erano solo incompiutamente sanciti dalla legge dello stato.
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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 327 |
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