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      Il pensiero poetico non potè colorirsi a vera forma di leggenda. Gli dei d'Italia erano e rimasero astrazioni, nè mai poterono levarsi, o se si vuole mai si sono abbassati ad una vera forma personale. E così gli uomini, anche i più grandi e più ammirati, sono rimasti però sempre e senza eccezione presso gli Italici colle loro forme umane, e non furono, come in Grecia, abbelliti dalla poesia della ricordanza, e dall'amorosissima tradizione trasfigurati nella mente della moltitudine in eroi pari agli dei. E innanzi tutto nel Lazio non si giunse allo sviluppo d'una poesia nazionale. Il più magnifico miracolo che operano le muse, e particolarmente la poesia, è questo, che esse tolgono via le barriere, le quali dividono le diverse società politiche, e che dalle tribù suscitano un popolo, dai popoli un mondo. Come al giorno d'oggi vengono ad armonizzarsi le antitesi delle nazioni civili nella nostra letteratura mondiale, che per la sua universalità le riassume, così l'arte poetica greca mutò l'angusto ed egoistico sentimento di razza in una coscienza nazionale ellenica ed allargò questa coscienza sino al presentimento dell'umanità. Ma nel Lazio non avvenne nulla di simile. Se anche vi siano stati poeti a Roma ed a Tuscolo, non vi sorse però alcuna epopea latina, e nemmeno, ciò che sarebbe stato più facile, un catechismo latino pei contadini a modo delle «Opere e i giorni» d'Esiodo. La festa latina della federazione ben avrebbe potuto diventare una festa nazionale delle muse, come presso i Greci lo divennero i giuochi olimpici ed istmici; intorno alla caduta d'Alba ben avrebbe potuto annodarsi un ciclo di tradizioni e di leggende, come intorno all'espugnazione d'Ilio, ed ogni comune ed ogni nobile gente del Lazio ritrovarvi o innestarvi le sue proprie origini; ma non si fece nè l'una


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Storia di Roma
1. Dalla preistoria alla cacciata dei re da Roma
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 327

   





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