In prova di che, quando il console compariva come giudice e non come duce, i littori consolari deponevano le scuri, che essi portavano sui fasci in forza della giurisdizione criminale demandata al loro signore.
Il console che non lasciasse libero corso all'appello, non era però dalla legge minacciato d'altro che dell'infamia, la quale, secondo le condizioni di quei tempi, non si traeva dietro altra conseguenza che la macchia morale, per cui tutt'al più le deposizioni di un tal uomo senza nome non avevano più alcuna fede. E anche qui ravvisiamo, nel fondo, la medesima idea, che era cioè legalmente impossibile limitare l'antico potere regio e che i limiti posti, in conseguenza della rivoluzione, all'investito del supremo potere comunale, tutto ben considerato, non hanno che un valore storico e morale. Se quindi il console agisce entro i limiti dell'antica competenza regia, egli può bensì commettere un'ingiustizia, ma non un delitto, e non soggiace perciò al giudice punitore.
Le stesse tendenze di restrizione si manifestarono nella giurisdizione civile; poichè fu, verosimilmente, in quell'epoca che venne mutato in obbligo il diritto, che avevano i magistrati, di potere, dopo stabilito il punto di controversia, delegare ad un privato l'esame dello stato della cosa. A questo scopo si erano, secondo ogni probabilità, statuite norme generali sul modo con cui i consoli potessero trasmettere il loro parere a luogotenenti o a successori. Se al re era stata lasciata illimitata facoltà di scegliersi dei luogotenenti senza però esservi obbligato, al console, invece, era stato limitato e legalmente circoscritto il diritto della trasmissione dei poteri in duplice modo.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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