6. Centurie e curie. Col cambiamento della costituzione il comune acquistò importantissimi diritti, quello cioè di designare ogni anno i capi della repubblica e quello di decidere, in ultima istanza, della vita e della morte del cittadino. Ma questo comune non poteva più essere il consorzio esistito fino allora, essendo il patriziato divenuto di fatto una casta aristocratica. La forza del popolo consisteva nella «moltitudine», a cui già appartenevano molti uomini ragguardevoli e possenti. Poteva essere tollerabile che questa moltitudine venisse esclusa dall'assemblea comunale sebbene essa concorresse al pagamento delle comuni gravezze, fintantochè tale assemblea non ebbe alcuna essenziale ingerenza nell'indirizzo del governo e finchè il regio potere, in grazia appunto dell'alta e libera sua sfera d'azione, non si mostrò molto meno formidabile ai cittadini che ai domiciliati stabili, e mantenne sostanzialmente, in tutti gli ordini sociali, l'eguaglianza in faccia alla legge. Ma questo stato di cose non poteva più a lungo durare dacchè il comune stesso cominciò ad occuparsi delle elezioni regolari e a pronunciare delle risoluzioni, e allorchè il supremo magistrato, da signore del comune, scese ad essere il suo commissario temporaneo; e molto meno poi poteva durare dopo una rivoluzione che mutava la forma dello stato, e che non avrebbe potuto compiersi se non coll'accordo e col consenso dei patrizi e dei domiciliati stabili. Si faceva sempre più potentemente sentire la necessità di un'ampliazione di questo comune, che seguì nel più ampio modo, mentre furono assunti nelle curie, e quindi parificati agli antichi cittadini, tutti i plebei, vale a dire tutti i non-cittadini che non erano nè schiavi nè cittadini di comuni stranieri che godessero il diritto d'ospitalità. A questa assemblea curiale, che fino allora era stata di fatto e di diritto la prima autorità dello stato, furono poi contemporaneamente tolte tutte le prerogative accordatele dalla costituzione; soltanto negli atti di pura formalità o di diritto privato, riguardanti singoli individui, quindi trattandosi della promessa di fedeltà da farsi al console od al dittatore dopo la loro entrata in carica, appunto come si faceva al re, e della dispensa legale necessaria per l'arrogazione e pel testamento, l'assemblea delle curie doveva conservare la competenza finora posseduta, ma in avvenire non avrebbe avuta la facoltà di eseguire alcun atto politico propriamente detto.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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Centurie
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