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      8. Il nuovo comune. Fu questo il tempo in cui, per dirla brevemente, nacque la cittadinanza romana nel più lato senso della parola.
      Fin qui i plebei erano stati dei semplici domiciliati in Roma, che concorrevano bensì nel pagamento delle gravezze e nel sostenere gli altri pesi dello stato, ma che dinanzi alla legge non erano considerati che come forestieri tollerati, non giudicandosi necessario di introdurre una formale differenza tra essi e gli stranieri effettivi.
      Ora essi furono iscritti nei registri delle curie, e, sebbene fossero ancor lungi dall'eguaglianza politica ed i vecchi cittadini fossero ancor sempre i soli eleggibili alle cariche civiche e alle dignità sacerdotali, e ad essi esclusivamente fossero riservati gli usufrutti civici, per esempio quello del pascolo comunale, il primo passo e il più arduo per ottenere la completa eguaglianza era fatto dacchè i plebei non solo servivano nelle milizie comunali, ma avevano anche voto nei comizi e nel senato, e dacchè la testa e le spalle anche dell'infimo domiciliato, erano garantite mercè il diritto d'appello, come quelle del più illustre patrizio.
      Conseguenza di questa effettiva fusione fra patrizi e plebei nella nuova comune cittadinanza romana fu la trasformazione delle antiche casate cittadine in una nobiltà di nascita, cui fin da principio fu dato un carattere d'aristocrazia esclusiva e assurdamente privilegiata coll'esclusione dei plebei da tutti gli uffici comunali e da tutte le dignità sacerdotali del comune, mentre però si accordava loro l'accesso agli uffici della milizia e dei senatori, e colla legale impossibilità, mantenuta con una strana pertinacia, di contrarre matrimoni tra antichi cittadini e plebei.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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