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      L'antitesi dei ricchi e dei poveri che nacque fra queste complicazioni economiche, non coincide in alcun modo con quella dei patrizi e dei plebei. Quand'anche la maggior parte delle case patrizie fosse dotata di lauti patrimoni, non era però naturalmente scarso neppure il numero delle famiglie ricche e ragguardevoli di sangue plebeo e poichè da quando il senato, che fino ai primi tempi della repubblica contava nel suo seno una buona metà di senatori plebei, ebbe tratto a sè il maneggio del pubblico erario e delle imposte, escludendone persino i magistrati patrizi, tutti i vantaggi economici, ad ottenere i quali si usavano e si abusavano i privilegi politici del patriziato, riuscirono, come è facile ad immaginare, per intero a profitto dei ricchi, e tanto più grave se ne riversò la pressione sulla moltitudine, in quanto che il fiore della plebe era stato ammesso in senato, ed era perciò passato dalla classe degli oppressi a quella degli oppressori.
      Ma perciò appunto il primato politico dei patrizi divenne a lungo andare insostenibile. Se essi avessero saputo governare con giustizia e se avessero protetto le classi medie, come tentarono di fare alcuni consoli usciti dal loro grembo, quantunque senza buon esito, vista la stremata autorità della magistratura, i nobili di razza avrebbero potuto ancora lungamente conservare l'esclusivo possesso delle loro dignità.
      Se il vecchio patriziato, seguendo un'altra via, avesse accomunato pienamente i suoi diritti coi più ricchi e distinti plebei accordando loro, ad esempio, non solo l'ammissione in senato, ma anche i diritti del patriziato, le due classi congiunte in una sola avrebbero potuto ancora per lungo tempo tenere il dominio ed esercitare impunemente il monopolio delle pubbliche ricchezze.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376