Con spietata severità il secondo console Appio Claudio applicò la legge sui debitori, e il suo collega, a cui i contadini che avevano militato sotto di lui, si volsero implorando assistenza, non ebbe il coraggio di opporvisi. Pareva che si fosse introdotta la collegialità nella suprema magistratura non già per la protezione del popolo, ma per facilitare lo spergiuro e il dispotismo; si dovette fare di necessità virtù e tollerare ciò che non si poteva cambiare. Ma quando l'anno seguente si rinnovò la guerra, le parole del console più non valsero. I contadini si piegarono solo al dittatore Manio Valerio sia per timore del suo assoluto potere, sia per fiducia nei suoi sentimenti popolari.
I Valerii appartenevano ad una di quelle antiche nobili famiglie che consideravano il governo della repubblica come un dovere ed un onore e non già come una prebenda.
La vittoria si dichiarò ancora per le insegne romane; quando i vittoriosi ritornarono ai propri focolari, e il dittatore presentò al senato le sue proposte di riforma, esse furono respinte colla più pertinace opposizione.
L'esercito si trovava, come era uso, ancora unito dinanzi alle porte della città. Quando gli fu riportata la notizia del rifiuto, scoppiò il temporale che da lungo tempo andava addensandosi, e lo spirito di corpo e la coesione degli ordini militari trascinarono anche i pusillanimi e gli indifferenti. L'esercito abbandonò il suo duce e l'accampamento, e, condotto dai comandanti delle legioni e dai tribuni militari, per la maggior parte plebei, si diresse in buon ordine verso Crustumeria, sita tra il Tevere e l'Aniene, dove occupò un colle e si accinse a fondare una nuova città plebea in quella fertilissima parte dell'agro romano.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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