E la medesima arbitrarietà colpiva particolarmente il magistrato. Secondo le ragioni di stato dei Romani, il magistrato non poteva essere soggetto ad alcuna giurisdizione fino a che rimaneva in carica, e nemmeno uscito egli era sindacabile per la sua opera di magistrato.
Quando fu sancito il diritto d'appello, non si ebbe il coraggio di deviare da questa massima. Ma coll'istituzione del tribunato si venne a stabilire una giurisdizione che doveva sorvegliare e sindacare ogni magistrato e durante e dopo l'esercizio delle sue funzioni. Tale sindacato era tanto più minaccioso in quanto per legge non erano stabilite nè le colpe, nè le punizioni.
Le istituzioni plebee hanno avuto parte alla giurisdizione civile solo in quanto la nomina dei giurati era sottratta ai consoli nei processi di libertà così importanti per la plebe, e le sentenze venivano date per mezzo dei dieci uomini eletti a ciò (iudices, decemviri, più tardi decemviri litibus iudicandis).
8. Legislazione. A questa doppia giurisdizione s'aggiunge pure la concorrenza nell'iniziativa legislatrice. Il diritto di adunare la plebe e di ottenerne le deliberazioni apparteneva ai tribuni. E questo diritto era loro concesso in modo così assoluto, che il diritto autonomo di riunione e di deliberazione della plebe era legalmente assicurato da ogni intervento dei magistrati del comune.
Certamente era necessaria e condizionata premessa del riconoscimento giuridico della plebe il fatto che i tribuni non potessero venire impediti a far eleggere i propri successori dall'assemblea della plebe, e ad ottenere per mezzo di questa la conferma della loro sentenza criminale: diritto che fu loro in particolar modo assicurato dalla legge icilia (262 = 492), la quale minacciava severa punizione a chiunque interrompesse il tribuno che parlava al popolo, o comandasse alla moltitudine di sciogliersi.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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Romani Legislazione
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