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      Tuttavia la cosa venne trattata con tutta serietà, perchè lo spettro della monarchia ha sempre prodotto sulla moltitudine di Roma l'effetto che produce sulle masse in Inghilterra lo spettro del papato.
      Tito Quinzio Capitolino, che per la prima volta era pervenuto al consolato, nominò l'ottuagenario Lucio Quinzio Cincinnato dittatore senza appello, contravvenendo così alle leggi giurate. Citato in giudizio, Melio mostrò di volersi sottrarre al tribunale, e il mastro dei cavalieri del dittatore, un Gaio Servilio Avala, lo uccise di propria mano. La casa dell'estinto fu rasa dalle fondamenta; il frumento, che si trovò nei suoi granai, distribuito gratuitamente al popolo, e quelli che macchinavano di vendicare la sua morte furono tolti di mezzo segretamente.
      Questo vergognoso assassinio, che prova la credula cecità del popolo e la crudele malvagità dei patrizi, passò impunito; ma se il patriziato, con ciò, ebbe l'intento di soffocare il diritto di appello, aveva violato invano le leggi, e versato inutilmente sangue innocente.
      Meglio di tutti gli altri mezzi servivano ai patrizi, per i loro intrighi, i brogli elettorali e l'inganno dei sacerdoti. Quanto perfidi debbano essere stati i maneggi del patriziato nelle elezioni, lo possiamo argomentare dalle necessità, in cui si fu fin dal 322 = 432, di fare una legge speciale contro i brogli elettorali, legge che non portò però alcun giovamento. Quando non si poteva influire sugli elettori colla corruzione o colle minaccie, subentravano i direttori patrizi delle elezioni e ammettevano, per esempio, un gran numero di candidati plebei, in modo che i voti dell'opposizione si disperdessero, ovvero omettevano nelle liste dei candidati i nomi di coloro che la maggioranza aveva intenzione di eleggere.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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