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      Troppo importanti erano invece i due collegi dei pontefici e degli auguri, ai quali era annessa la conoscenza della legge ed una grande influenza sui tribunali e sui comizi, perchè potessero durare in esclusivo patrimonio dei patrizi: la legge ogulnia dell'anno 454 = 300 schiudeva anche ai plebei l'ingresso nei detti collegi aumentando il numero dei pontefici e quello degli auguri da sei a nove e dividendo nei due collegi i posti in numero eguale tra patrizi e plebei.
      L'ultima conclusione della lotta durata duecento anni, fu la legge del dittatore Q. Ortensio (465 = 289 - 468 = 286), che invece del pareggiamento condizionato, stabilì quello incondizionato delle deliberazioni dell'assemblea repubblicana e della plebe. Così si erano mutate le circostanze in modo che quella parte della cittadinanza che già aveva posseduto, sola, il diritto di votazione, d'ora in poi non era nemmeno più interpellata nelle votazioni obbligatorie per tutta la cittadinanza complessiva.
      10. Nobiltà recente. La lotta tra le famiglie patrizie e la plebe giungeva con ciò, sostanzialmente, al termine.
      Se la nobiltà, dei suoi tanti diritti, conservava ancora quello, senza dubbio importante, di votare per prima nei comizi e nelle centurie, e in parte, in conseguenza di questo diritto di prelazione, si manteneva in possesso di uno dei posti di console e di censore, essa era poi d'altra parte esclusa per legge dal tribunato, dalla edilità plebea, dalla seconda carica del consolato e dalla seconda di censore. Quasi a giusta punizione della malintesa e tenace sua opposizione, gli antichi privilegi del patriziato si erano per esso trasformati in altrettante umiliazioni.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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