Però il patriziato romano, ridotto a poco più d'un nome vuoto di senso, non si rassegnò a morire. Quanto meno era grande l'importanza e la potenza lasciata ai patrizi, tanto più cresceva e s'inaspriva il loro orgoglio tradizionale. L'esclusività, che è il vero carattere della nobiltà, non era ancora propria dei patrizi ai tempi dei re, e l'ammissione di nuove famiglie in questo ceto non era cosa troppo rara; ma nessun esempio ne troviamo più nei tempi repubblicani e il ceto dei patrizi deve aver chiuso le sue liste proprio intorno a quei tempi, in cui esso aveva perduto gli ultimi suoi privilegi politici. La superbia dei «Ramni» sopravvisse per secoli all'ultimo dei loro privilegi ed anche a Roma le famiglie patrizie di nuova ammissione si sentivano obbligate di ricomperare coll'alterigia quanto loro mancava per difetto di antenati. Fra tutte le famiglie patrizie romane nessuna ha più energicamente e pertinacemente combattuto affine di «tirare il consolato fuori del fango plebeo» quanto la casa Claudia; e, allorchè ognuno dovette proprio convincersi dell'impossibilità di questa restaurazione, nessuna altra famiglia se ne mostrò più indignata e più afflitta; ben è vero che questa zelantissima fra le case patrizie era di nuova data in confronto dei Valeri e dei Quinzi e persino di fronte ai Giuli ed ai Fabi, anzi per quanto ci consta, era fra tutte le famiglie patrizie la più recente.
Per ben comprendere la storia di Roma del quinto e del sesto secolo non si deve dimenticare questa nobiltà imbronciata, la quale, a dir vero, null'altro poteva fare se non indispettire sè e altrui; ma che ad ogni modo lo fece con tutte le forze.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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Roma Claudia Valeri Quinzi Giuli Fabi Roma
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