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      Sarebbe però grande ingiustizia il ritenere inutile e vano lo studio che gli statisti romani posero a frenare l'impoverimento del medio ceto, pel motivo che mali radicali non si curano con palliativi. Questa, veramente, è una delle accuse che la perfidia non predica mai senza successo alla semplicità popolana; ma non è per questo un errore meno grossolano.
      Si potrebbe piuttosto invertire l'argomento e domandare se la demagogia, già sino da quei tempi, non si fosse impadronita di questa grande questione e se occorressero veramente rimedi così violenti e così pericolosi, come fu appunto quello d'ordinare la deduzione degli interessi già pagati dal capitale dovuto.
      I documenti, che ci sono pervenuti, non bastano per decidere ora da che parte fosse il torto e la ragione; ma quello che ne sappiamo ci basta per poter affermare che il medio ceto domiciliato in città si trovava ancora e sempre più in istato di penuria economica e di perpetua minaccia, e che nelle alte classi non mancava la volontà, benchè poco fruttuosa, di aiutare i poveri debitori con leggi proibitive dell'usura e proroghe legali di pagamento; ma che d'altra parte il governo aristocratico continuava ad essere troppo debole verso i propri membri e troppo preoccupato degli speciali interessi della classe da cui esso usciva, per recare giovamento coll'unico mezzo efficace di cui avrebbe potuto disporre, cioè coll'abolire affatto il sistema di occupazione dei beni dello stato, liberando in tal modo i governanti dal rimprovero di trarre partito dalla misera condizione dei governati.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376