Se rimase loro interdetto il diritto di votare, non era questa se non un'applicazione della massima fondamentale della ragione di stato dei Romani, in forza della quale davano il voto soltanto coloro che non erano incaricati del potere esecutivo, e quindi tutti i funzionari pubblici avevano bensì seggio, ma non potevano aver voce deliberativa al consiglio di stato durante l'anno delle loro funzioni.
Ma le cose non rimasero nemmeno in questi termini. I tribuni ottennero il caratteristico privilegio che spettava ai supremi magistrati e che nella classe degli ufficiali ordinari era concesso esclusivamente ai consoli ed ai pretori: il diritto cioè di adunare il senato, di interpellarlo e di provocarne una deliberazione(11).
E questo era ben naturale: i capi dell'aristocrazia plebea dovevano esser posti in senato a pari dei capi della aristocrazia patrizia dacchè il regime era passato dalla nobiltà d'origine all'aristocrazia unita.
Ma mentre questo collegio dell'opposizione, originariamente escluso da ogni ingerenza negli affari amministrativi, era in quel tempo divenuto, precipuamente per gli affari propriamente urbani, una seconda suprema magistratura esecutiva ed uno dei più consueti ed idonei organi del governo, vale a dire del senato, onde dirigere i cittadini, e anzitutto per impedire i trascorsi dei magistrati, esso fu, per quel che riguarda il suo scopo particolare ed originario, assorbito e praticamente distrutto.
Questo provvedimento era imposto dalla necessità. Per quanto evidenti si mostrassero i vizi dell'ordinamento aristocratico, per quanto crescessero insieme, da una parte la prepotenza delle classi elevate, dall'altra la deviazione del tribunato dal suo antico scopo, era impossibile che non si fosse avvertita l'impossibilità di reggere lungamente il governo di fronte ad un'autorità che non mirava ad un risultato definitivo, e solo si limitava a tener a bada con fallaci promesse gli angariati proletari, e che nel tempo stesso era sostanzialmente sovversiva e armata d'un vero potere anarchico, come quella che poteva paralizzare l'autorità dei magistrati, anzi tutta la forza dello stato.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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Romani
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