Portavano un largo cerchio d'oro al collo, privi di elmo e non portavano alcuna specie d'arme da getto, ma erano invece muniti di uno smisurato scudo e d'una lunga daga mal temprata, d'un pugnale e d'una lancia; tutte queste armi erano guarnite d'oro, essendo abili a lavorare i metalli. Per acquistare rinomanza tutto ad essi serviva, persino le ferite riportate, che non di rado espressamente allargavano per ostentare una più appariscente cicatrice.
D'ordinario combattevano a piedi, ma alcune schiere anche a cavallo, e allora ogni cavaliere libero era seguito da due scudieri egualmente a cavallo; ebbero presto carri da battaglia come i Libii e gli Elleni de' più antichi tempi. Parecchi tratti ricordano i cavalieri del medio-evo; più di tutto il duello, che era estraneo ai Romani ed ai Greci. E non solo in guerra essi solevano sfidare a singolar combattimento il nemico dopo d'averlo schernito e beffeggiato con gesti e parole, ma combattevano nelle pompose loro armature all'ultimo sangue anche in tempo di pace.
È naturale che dopo le battaglie e le parate non mancassero gazzarre e banchetti.
I Celti conducevano questa maniera di vita vagabonda e soldatesca, la quale tra continue lotte ed azioni, come soglion dirsi, eroiche, compiute sotto il proprio e sotto l'altrui vessillo, li disseminava dall'Irlanda e dalla Spagna sino all'Asia minore. Ma qualunque cosa intraprendessero, si dissolveva come la neve a primavera, cosicchè in nessun luogo si trova un grande stato, in nessun luogo una cultura creata dai Celti.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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