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      Simili calate in paesi lontani e ignoti erano pei Galli facili imprese, poichè essi procedevano innanzi come bande armate di emigranti senza darsi pensiero di retroguardie e di assicurarsi la ritirata. D'altra parte a Roma non si credeva al pericolo che poteva cagionare una così subitanea e possente invasione.
      Non prima che i Galli avessero passato il Tevere e non fossero distanti che una ventina di chilometri dalle porte della città, sul fiumicello Allia, si mosse il 18 luglio 364 = 390 un esercito romano per sbarrare loro la via.
      E anche allora credendo i Romani di andare ad affrontare non un esercito, ma torme di predoni, condotte da duci non sperimentati, procedettero innanzi presuntuosi e temerari.
      Camillo si era ritirato dalle pubbliche cariche a cagione delle contese tra le classi della popolazione.
      Perchè rafforzare un campo, perchè pensare ad assicurare la ritirata, se coloro contro i quali si doveva combattere, altro non erano che dei selvaggi?
      Ma questi selvaggi erano uomini che disprezzavano la morte, e il cui modo di combattere era per gli Italici non meno nuovo che terribile. Armati di daghe, con un furibondo impeto i Celti si slanciarono sulla falange romana ed al primo urto la scompigliarono.
      La rotta non solo fu completa, ma la precipitosa fuga dei Romani sull'opposta riva del fiume per mettersi in salvo dai barbari che li incalzavano alle spalle, sospinse la maggior parte dell'esercito disfatto e senza ordine sulla sponda destra del Tevere ed a Veio.
      8. Presa di Roma.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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