Così, senza alcuna necessità, si abbandonava la capitale; le poche truppe rimastevi, e quelle che dopo la sconfitta vi si ripararono, non bastavano a guarnirne le mura, e tre giorni dopo la battaglia i vincitori entravano in Roma per le porte indifese.
Se vi fossero entrati il primo giorno, come avrebbero potuto, non la sola città, ma anche lo stato sarebbe stato perduto; il breve intervallo bastò per porre al sicuro o per seppellire le cose sacre, e, ciò che più importava, per occupare e guarnire scarsamente di provvigioni la rocca, dalla quale si allontanarono tutti coloro che non erano atti alle armi, poichè non vi era pane abbastanza per tutti.
La moltitudine degli inermi si sbandò nelle città vicine; ma parecchi, e particolarmente molti illustri vegliardi, non vollero sopravvivere alla rovina della città e attesero nelle loro case la morte per mano dei barbari. I quali giunsero, massacrarono e saccheggiarono tutto ciò che trovarono di vivo e di buono, e infine appiccarono il fuoco a tutti gli angoli della città sotto gli occhi del presidio romano chiuso nella rocca.
Ma i Celti non conoscevano l'arte dell'assediare, e lungo e difficile riuscì loro il blocco della scoscesa rocca, poichè le vettovaglie occorrenti al loro grande numero si potevano procacciare solo col mezzo di scorrerie, alle quali le milizie cittadine dei popoli latini, segnatamente quelle di Ardea, spesso con coraggio e buon successo si opponevano.
Nondimeno i Celti resistettero con un'energia senza esempio, quando si voglia tener conto delle loro condizioni, per lo spazio di sette mesi ai piedi della rocca, e già le vettovaglie cominciavano a scarseggiare ai Romani, che erano stati salvati da una sorpresa dei nemici in una notte oscura solo per lo schiamazzo delle sacre oche nel tempio capitolino, e pel fortuito svegliarsi del valoroso Marco Manlio.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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