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      Il console invase allora il territorio tarentino, ma, invece di cominciare subito le ostilità, offrì un'altra volta la pace alle stesse condizioni. Essendo stata respinta anche questa offerta, incominciò a devastare villaggi e campagne e fugò le milizie urbane, ma lasciò andare liberi senza riscatto i più ragguardevoli prigionieri; ciò che mostra come non fosse ancora perduta ogni speranza che i disagi della guerra potessero dare il sopravvento al partito aristocratico nella città, il quale inclinava alla pace. Questa moderazione nasceva dall'avvedimento dei Romani, i quali avrebbero voluto evitare ad ogni costo che la città si desse agli Epiroti. I disegni di re Pirro sull'Italia non erano più un segreto. Già gli era stata spedita da Taranto un'ambasceria e ne era ritornata senza alcuna conclusione, avendo il re chiesto più di quanto essa potesse accordare. Bisognava risolversi. Che le milizie urbane non fossero buone ad altro che fuggire innanzi ai Romani, i Tarentini lo dovevano sapere per certa scienza; non rimaneva dunque altra scelta: o la pace con Roma, la quale continuava a mostrarsi propensa a concedere eque condizioni, o accettare il trattato che Pirro stesso avrebbe dettato - che in sostanza è quanto dire la scelta tra l'umiliarsi al primato dei Romani o accettare la tirannide di un soldato greco.
      7. Pirro chiamato in Italia. Nella città i partiti si pareggiavano; ma prevalsero finalmente i patriotti, e, oltre la buona ragione di darsi - se la necessità voleva che Taranto avesse un padrone - piuttosto ad un greco che ad un barbaro, certo contribuì non poco anche il timore dei demagoghi, che Roma, malgrado la moderazione impostale in quel momento dalle circostanze, non avrebbe a tempo opportuno tralasciato di vendicare gli obbrobri commessi dalla plebaglia di Taranto.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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