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      I cavalli si impaurirono, i soldati non sapevano come accostarsi ai furenti animali e le torme volsero il tergo, e, rovesciandosi insieme colle inseguenti belve sulle file serrate della cavalleria romana, la misero in scompiglio; gli elefanti e l'abile cavalleria tessalica fecero strage dei fuggitivi.
      Se un prode soldato romano, Gaio Minucio, primo astato della quarta legione, non fosse riuscito a ferire un elefante e a porre così in scompiglio le truppe inseguenti, tutto l'esercito romano sarebbe stato distrutto; ma questo fatto lasciò tempo agli avanzi dell'esercito romano di riparare oltre il Liri.
      La perdita fu assai grave: 7000 Romani tra morti e feriti furono trovati dai vincitori sul campo di battaglia, 2000 fatti prigionieri; i Romani stessi confessarono una perdita di 15.000 uomini compresi i feriti portati fuori della mischia. Ma non furono minori le perdite dell'esercito di Pirro; circa 4000 dei suoi migliori coprivano il campo di battaglia e parecchi de' suoi più valorosi ufficiali superiori si trovavano fra i morti.
      Se si considera che le sue perdite, per la maggior parte di vecchi soldati di mestiere, erano assai più difficili a ripararsi che quelle delle milizie romane, e che egli doveva la sua vittoria, più che ad altro, alla sorpresa cagionata dall'attacco degli elefanti, sorpresa che non si sarebbe potuta rinnovare con eguale successo, il re, da quel giudizioso capitano che era, può senza dubbio aver paragonata questa vittoria ad una sconfitta, sebbene deve credersi ch'egli non sia stato così malaccorto da pubblicare, come poi novellarono i poeti romani, quel suo giudizio nell'iscrizione dedicatoria posta in Taranto sotto il suo dono votivo.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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