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      9. Tentativi di pace. Pirro offrì ai Romani la pace. Egli era un guerriero troppo avveduto per non conoscere le difficoltà della sua posizione, ed un uomo di stato troppo profondo per non approfittare del momento favorevole alle trattative, quando ogni cosa pareva volgersi a suo favore.
      Sperava che sotto la prima impressione di una così grande sconfitta, Roma si sarebbe indotta a riconoscere l'indipendenza delle città greco-italiche e ad acconsentire alla ricostituzione degli stati di secondo e di terzo ordine, posti fra Roma e le città greche, i quali avrebbero poi formato una lega dipendente dalla nuova potenza greca; poichè queste erano le sue pretese: sottrarre alla soggezione dei Romani tutte le città greche, e quindi anche quelle della Campania e della Lucania, e restituire ai Sanniti, ai Dauni, ai Lucani, ai Bruzi il territorio, che loro era stato tolto, il che importava la cessione di Luceria e di Venusia.
      Benchè dovesse sembrargli difficile l'evitare un nuovo urto con Roma, egli desiderava di ritentare la prova soltanto dopo che gli Elleni occidentali fossero stati uniti sotto una sola signoria e la Sicilia vinta e l'Africa conquistata.
      Munito di queste istruzioni il tessalo Cinea, fidato ministro di Pirro, si portò a Roma.
      L'esperto negoziatore - che i contemporanei paragonavano a Demostene, per quanto un retore può essere paragonato ad un uomo di stato, il servo d'un re ad un capo di popolo - aveva ordine di mostrare in tutti i modi il pregio grandissimo, in cui il vincitore di Eraclea teneva suoi vinti, di lasciar credere che il re stesso avrebbe desiderato di venire a Roma, di inclinare gli animi in favore del suo signore colle lodi, che suonano così gradite sulle labbra del nemico, colle lusinghe e, data l'occasione, coi doni distribuiti a proposito; in breve, di sperimentare con i Romani tutti gli artifizi della politica raffinata per cui erano celebri le corti di Alessandria e d'Antiochia.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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