Il senato era perplesso. Parecchi tra i senatori ritenevano che la prudenza consigliasse di non spingere le cose all'estremo e di aspettare che il pericoloso rivale si trovasse impacciato in mezzo a quel viluppo di alleanze, o fosse comunque scomparso dalla scena del mondo. Ma il vecchio e cieco consolare Appio Claudio (censore del 442 = 312, console del 447 = 307 e del 458 = 296), il quale da lungo tempo viveva lontano dai pubblici affari, fattosi in questo momento supremo condurre in senato, trasfuse, con parole di fuoco, l'incrollabile energia della sua possente natura nell'animo della nuova generazione. Si prese quindi la decisione di dare al re la superba risposta, che s'udì allora per la prima volta e che divenne poi massima di stato: Roma non tratterà sino a che un esercito straniero accampa sul suolo d’Italia.
E perchè alle parole rispondessero i fatti, si cacciò tosto l'ambasciatore dalla città.
L'ambasceria era fallita, e l'esperto negoziatore invece di affascinare i Romani colla sua eloquenza si era piuttosto lasciato imporre della maschia fermezza ch'essi mostravano dopo una così grave sconfitta. Tanto che, tornato a Pirro, disse che in Roma ogni cittadino gli era parso un re; cosa naturale, dacchè il cortigiano greco aveva allora, per la prima volta, conosciuto un popolo libero.
Pirro il quale, mentre si conducevano queste trattative, aveva posto piede nella Campania, saputo che era svanita ogni speranza d'accordo, deliberò di correre subito su Roma per vedere se gli riuscisse di dar mano agli Etruschi, scuotere gli alleati di Roma e minacciare la stessa città.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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