Cartagine aveva offerto soccorso ai Romani soltanto allora che lo stringente pericolo di Roma era già passato; i Romani, dal canto loro, non avevano fatto nulla per impedire la partenza del re dall'Italia e la caduta della potenza cartaginese in Sicilia. Anzi, in aperta violazione del trattato, Cartagine aveva perfino fatto pratiche per un accordo separato con Pirro, offrendogli di rinunciare a tutte le conquiste siciliane purchè le fosse lasciato il possesso del Lilibeo, di fornire al re denaro e navi da guerra, le quali come è naturale, dovevano servire agli Epiroti per tornare in Italia e rinnovare la guerra contro Roma.
Era però troppo chiaro che, conservando Lilibeo e allontanando il re, Cartagine avrebbe sùbito riacquistato nell'isola quel posto che essa teneva prima dello sbarco degli Epiroti; le città greche, abbandonate a se stesse, nulla potevano, e il perduto terreno era facile a riconquistarsi.
Perciò Pirro respinse le perfide proposte, e decise di formarsi una flotta. Soltanto la leggerezza e il poco accorgimento hanno poi biasimato questo proposito, il quale non solo rispondeva ad una necessità, ma, per i mezzi che offriva il paese, poteva facilmente effettuarsi. Anche a non voler considerare che uno stato, il quale comprendeva l'Ambracia, Taranto e Siracusa, non poteva essere altro che una potenza marittima, Pirro aveva bisogno di una flotta per espugnare Lilibeo, per proteggere Taranto e infine per attaccare Cartagine in Africa, come prima e dopo lo fecero con grande successo Agatocle, Regolo, Scipione.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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