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      Dopo gli esperimenti fatti da Filippo dinanzi a Perinto e Bisanzio, da Demetrio sotto Rodi, da Pirro a Lilibeo, si può ragionevolmente dubitare, se con la strategia di quei tempi sarebbe stato possibile ai Romani di espugnare una città regolarmente fortificata e difesa, e col libero accesso dalla parte del mare; e nessuno può dire come sarebbero riuscite le cose se Taranto avesse potuto diventare pei Fenici in Italia, ciò che per essi era stato Lilibeo in Sicilia.
      Ma il fatto non si poteva ormai mutare. L'ammiraglio cartaginese vedendo la rocca in mano ai Romani dichiarò di essere venuto a Taranto solamente per aiutare, a tenore del trattato, gli alleati nell'espugnare la città, e ripartì alla volta dell'Africa; e l'ambasciata dei Romani, mandata a Cartagine per domandare schiarimenti e per protestare contro la tentata occupazione di Taranto, non ottenne che giuramenti e proteste, ad altro non essersi pensato mai, che a fare opera di leali confederati.
      I Tarentini ottennero dai Romani, a richiesta, come pare, dei loro emigrati, di conservare l'autonomia, ma dovettero consegnare le armi e le navi e veder rase le mura della città. Nello stesso anno che Taranto divenne romana, si sottomisero finalmente anche i Sanniti, i Lucani ed i Brettii, i quali ultimi dovettero cedere la metà della ricca foresta della Sila tanto importante per le costruzioni navali.
      Finalmente la banda, che da dieci anni tiranneggiava la città di Reggio, scontò i suoi delitti meritamente punita e come sleale a Roma e spergiura alle bandiere e come colpevole dell'assassinio dei cittadini di Reggio e del presidio di Crotone.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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