La vera cittadinanza romana godeva tutti quei diritti che era possibile dare senza distruggere il concetto d'una repubblica urbana e d'un comune locale. Il vecchio territorio civico, in virtù delle successive assegnazioni, era stato esteso in modo che facevano parte del territorio agricolo romano l'Etruria meridionale fino a Cere e Faleri, i territori tolti agli Ernici del Sacco e dell'Aniene, gran parte della Sabina e tutta la pianura pontina. Questi cittadini domiciliati fuori di Roma non avevano un proprio ordinamento comunale ed una amministrazione propria, e sul loro territorio sorgevano soltanto piccoli mercati (fora et conciliabula); in posizione non molto diversa si trovavano i cittadini trapiantati nelle colonie marittime già menzionate; ad essi rimase pure l'assoluto diritto di cittadinanza romana e la loro amministrazione autonoma contava poco.
Pare che verso la fine di questo periodo il comune di Roma abbia incominciato a conceder ai prossimi comuni cittadini passivi, di uguale e di affine nazionalità, il diritto di cittadinanza assoluta; ciò che prima di tutti ottenne probabilmente Tuscolo(45), e lo stesso accadde forse per gli altri comuni di cittadinanza passiva nel Lazio propriamente detto, e questo principio fu quindi esteso alle città sabine, le quali, senza dubbio, erano già allora sostanzialmente latinizzate, ed avevano date sufficienti prove della loro fedeltà nell'ultima grave guerra.
A queste città, anche dopo il loro ingresso nella lega cittadina romana, rimase la limitata amministrazione autonoma, che già godevano nel loro precedente ordinamento giuridico.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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