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      L'origine prima di questa ingerenza non si deve cercare tanto negli anatemi minacciati dalla religione contro certi atti, anatemi che nei tempi antichi erano quasi una maniera di polizia sacra, quanto nel diritto che la suprema magistratura aveva di punire con multe (multae) coloro che non si conformavano alle leggi dell'ordine.
      Per tutte le multe che implicassero un carico maggiore di quello di due pecore e di trenta buoi, o, dopo che le multe in bestiame, per pubblica deliberazione del 324 = 430, furono convertite in denaro, per tutte le multe che superassero 3020 assi di libra fu riservata, subito dopo la cacciata dei re, la decisione al comune in grado di appello, e con ciò la procedura per le multe venne ad acquistare una importanza che non aveva avuto fino allora.
      L'elastico e vago concetto di contravvenzione contro il buon ordine poteva abbracciare tutto quello che si volesse comprendervi; e la gravezza delle multe poteva accrescerne a dismisura l'efficacia. Quanto fosse arbitraria la procedura per le multe può dedursi dal fatto che veniva considerata come una mitigazione la massima di non poter pareggiare colla multa la metà della sostanza del multato, quando per legge non fosse stata determinata la multa in una somma fissa.
      A questo ciclo giuridico appartengono le leggi di polizia di cui il comune romano, sino dai primi tempi, era fornito a gran dovizia. Le leggi delle dodici tavole vietavano di far ungere il cadavere da gente prezzolata, di collocare sotto il cadavere più di un cuscino, di ornarlo con più di tre coperte purpuree, di decorarlo d'oro e di corone svolazzanti, d'impiegare per il rogo legname lavorato, di profumarlo e d'aspergerlo con incenso e vino mirrato; limitavano tutt'al più a dieci i suonatori di flauto nei convogli funebri e interdicevano le prefiche ed i banchetti funebri.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376