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      7. Economia sociale e rurale. Nell'economia pubblica il fondamento sociale e politico tanto del comune romano, quanto del nuovo stato, che intorno a Roma venne formandosi in Italia, rimase sempre, come era da principio, l'agricoltura.
      L'assemblea comunale e l'esercito si componevano di cittadini romani; il terreno che essi, come soldati, avevano conquistato col brando se lo assicuravano poi coll'aratro come coloni. Il sovraccarico dei debiti che gravava i medi possidenti fece nascere le terribili crisi interne del terzo e quarto secolo, che minacciarono di rovinare la giovine repubblica; il rifiorimento degli agricoltori latini che si ottenne sulla fine del quinto secolo, sia incorporando all'agro romano e assegnando ai coloni vastissime terre, sia per la riduzione degli interessi e l'aumento della popolazione nella città, fu nello stesso tempo causa ed effetto del rapido incremento della potenza di Roma; e Pirro, perspicacissimo come era, ben riconobbe la causa della supremazia politica e militare dei Romani nel florido stato della loro agricoltura.
      Ma appunto in questi tempi cominciano a formarsi nell'agro romano le grosse tenute. Già fino dalle più antiche età esistevano bensì latifondi, o almeno tenute, che in paragone della maggior parte delle proprietà, potevansi chiamare latifondi, ma essi erano però sempre lavorati, non a modo di un vasto possedimento, ma come un'aggregazione di piccole masserie.
      La più antica traccia d'un accentramento(56) nell'economia rurale la troviamo nella legge dell'anno 387 = 367 in cui si contemplano disposizioni che non avrebbero potuto accordarsi col vecchio sistema dell'agricoltura romana, come quella che obbliga il proprietario del fondo ad impiegare un numero di braccia libere proporzionato a quello degli schiavi, ed è notevole che la prima volta che si accenna ai latifondi si parla anche di schiavi, come d'una istituzione essenzialmente connessavi.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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