Nei tempi antichi era costume, e fu questa una necessaria conseguenza della schiavitù, che, in città, le piccole faccende si eseguissero dagli schiavi i quali venivano assunti dai loro padroni come operai, o come commessi di negozio, e più spesso dai liberti, cui il padrone somministrava il capitale occorrente per la speculazione, ricevendo una porzione degli utili, non di rado la metà.
Le piccole industrie ed il minuto commercio, in Roma, erano senza dubbio in continuo incremento, e vi sono documenti i quali attestano come gli artigiani fabbricanti di oggetti voluttuari, cominciassero a concentrarsi in Roma; così ad esempio il cofanetto del Ficoroni, venduto a Preneste, fu fabbricato a Roma nel quinto secolo da un mastro prenestino(57).
Siccome però il ricavo netto, anche delle piccole industrie, affluiva per la massima parte nelle casse delle grandi famiglie, così il ceto industriale e commerciale non guadagnava in proporzione della classe più elevata e non potè proporzionalmente svilupparsi. Anzi, i commercianti all'ingrosso ed i maggiori industriali venivano ad essere quasi sempre i proprietari dei latifondi. Da un lato questi ultimi, fin dalle prime età, maneggiavano nel tempo stesso i commerci, e accumulavano i capitali, e perciò venivano nelle loro mani i prestiti ipotecari, il grosso commercio, le forniture ed i lavori per lo stato. Dall'altro lato, stante la grande importanza morale attribuita dalla repubblica alla proprietà fondiaria e ai privilegi politici che vi erano annessi, e che subirono qualche restrizione soltanto verso la fine di quest'epoca, era senza dubbio cosa consueta, che il mercante arricchito fissasse in Roma la sua stabile dimora, colla maggior parte delle sue ricchezze.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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