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      L'aristocrazia, che reggeva il governo della repubblica, stringeva il freno anche al lusso dei privati con una severità che certo non avrebbe usata la monarchia, se fosse durata.
      Ma, a lungo andare, nemmeno il rigido senato potè porre argine alle crescenti ed imperiose esigenze del progresso. Appio Claudio fu quegli che nella sua memorabile censura bandì il vecchio costume contadino di tesorizzare il denaro seppellendolo, e insegnò ai suoi concittadini come si potessero degnamente e fruttuosamente usare le pubbliche ricchezze. Egli inaugurò il magnifico sistema di innalzare edifizi pubblici ad uso comune, i quali anche oggi, colle loro grandi rovine danno a quegli stessi, che non hanno mai letto una pagina di storia romana, un meraviglioso concetto della romana grandezza, e giustificano, se vi ha qualche cosa che possa giustificarli, i successi militari anche sotto l’aspetto della prosperità dei popoli.
      Ad Appio la repubblica va debitrice della prima grande strada militare, e la città, del primo acquedotto.
      Seguendo l'esempio di Claudio, il senato romano cinse l'Italia con quella rete di strade e di fortezze, di cui notammo a mano a mano la fondazione, e senza le quali, come insegna la storia di tutti gli stati militari, cominciando dagli Achemenidi sino al creatore della strada del Sempione, non può consolidarsi alcuna egemonia militare.
      Seguendo l'esempio di Claudio, Manio Curio fece costruire il secondo magnifico acquedotto colla somma ricavata dalla vendita del bottino fatto nella guerra pirrica (482 = 272) e già da alcuni anni prima (464 = 290), lo stesso Curio, col prodotto della guerra contro i Sabini, aveva aperto al fiume Velino, là dove superiormente a Terni le sue acque precipitano nella Nera, quel più largo letto, nel quale scorrono ancora oggi, guadagnando, col prosciugamento della bella valle di Rieti, il terreno per una grande colonia cittadina e per procacciare a se stesso anche una modesta tenuta agricola.


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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 376

   





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