Se i Romani, al principio del settimo secolo, trovavano difficili a decifrare i documenti del terzo secolo, ciò si deve attribuire senza dubbio al difetto di studi paleografici.
In questo tempo, in cui si cominciò a pronunciare sull'applicazione del diritto, e a compilare le leggi, si sarà venuto formando anche lo stile degli affari e degli uffici, il quale, per il lungo rigirare delle formole e dei costrutti convenzionali, per la minuta specificazione d'ogni particolare dei fatti e d'ogni relazione delle cose, per i periodi indeterminabili, se non lo supera, non la cede per nulla allo stile dell'attuale foro inglese che, per acutezza e precisione, è tenuto in gran pregio dagli iniziati, mentre i profani, non giungendo a comprenderne le finezze, l'ascoltano, secondo le disposizioni dell'animo, con rispetto, con impazienza o con disdegno.
In questa medesima epoca cominciò anche una razionale elaborazione delle lingue indigene.
Al principiare di quest'età gli idiomi sabellico e latino erano minacciati, come vedemmo, di declinare nel barbaro, e infatti la soppressione delle desinenze e l'obliterazione delle vocali e delle più fini consonanti facevano, come nel quinto e sesto secolo della nostra èra avvenne nelle lingue romane, sempre maggiori progressi. Ma poco dopo nacque una reazione; nell'idioma osco si separarono di nuovo i suoni fusi insieme della d e della r, nell'idioma latino i suoni della g e della K e ciascuno prese il proprio segno; l'o e l'u, per le quali nell'alfabeto osco mancavano originariamente segni distinti, e che nell'alfabeto latino, sulle prime, erano separati e minacciavano quindi di confondersi, si separarono di nuovo, e nell'osco la lettera i si scinde in due segni distinti per suono e per forma; finalmente la scrittura si accosta più esattamente alla pronuncia, come ad esempio presso i Romani, che sostituivano spessissimo l'r alla s. Le tracce cronologiche ci conducono per queste reazioni al quinto secolo: la lettera g latina, per esempio, non esisteva ancora verso l'anno 300, intorno al 500 sì; il primo della famiglia Papiria, che si chiamò Papirio invece di Papisio, fu il console dell'anno 418 = 336; l'introduzione della lettera r in luogo della s è attribuita ad Appio Claudio censore del 442 = 312. Non vi è dubbio che l'introduzione d'una pronunzia più fine e più spiccata è in relazione colla crescente influenza della civiltà greca, la quale appunto in quel tempo ci si manifesta in tutti i rami della vita italica; e nel modo che le monete d'argento di Capua e di Nola sono molto più perfette che non i contemporanei assi d'Ardea e di Roma, così pare che anche la scrittura e la lingua siano state regolate con maggior speditezza e perfezione nel paese campano che non nel Lazio.
| |
Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
|
|
Romani Romani Papiria Papirio Papisio Appio Claudio Capua Nola Ardea Roma Lazio
|