Dopo tutto noi non abbiamo alcun dato sulla più antica coltura celtica. Ma ad ogni modo l'investigazione etimologica non pare ancora arrivata al punto che possa guidarci nel labirinto della più antica storia dei popoli.
(16) LIVIO, 5, 34, e GIUSTINO, 24, 4, narrano la leggenda, ed anche CESARE, B. g., 6, 24, mostra d'averla conosciuta. La coincidenza della migrazione di Belloveso colla fondazione di Massalia, per cui quella migrazione venne cronologicamente fissata alla metà del secondo secolo della fondazione di Roma, non appartiene certo alla leggenda originaria, naturalmente senza indicazione di tempo, bensì a posteriori combinazioni dei cronologisti, e non merita alcuna fede. È probabile, che anche in tempi più antichi sieno avvenute incursioni e migrazioni isolate, ma non si può fissare la grande invasione dei Celti nell'Italia settentrionale prima del decadimento della potenza etrusca, vale a dire, non prima della seconda metà del terzo secolo di Roma. E così, badando alle sagaci disquisizioni di Wickham e di Cramer, non si saprebbe porre in dubbio, che la marcia di Belloveso e la calata d'Annibale non avvenissero attraverso le Alpi Cozie (Monginevro) e attraverso il paese dei Taurini, ma sibbene attraverso le Alpi Graie (il Piccolo S>. Bernardo) e attraverso il paese dei Salassi; Livio accenna il nome del monte, non seguendo la leggenda, ma sibbene la supposizione. Non vogliamo esaminare se i Boi italici sieno fatti discendere in Italia pel varco più orientale delle Alpi Pennine dietro una qualche memoria rimasta nella leggenda tradizionale, ovvero soltanto per una preconcetta idea della connessione di questa tribù con quelli dei Boi abitanti a settentrione del Danubio.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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