La terza e decisiva battaglia fu combattuta all'ingresso del passo Caudino presso Suessula dai due consoli; i Sanniti furono completamente battuti - si raccolsero sul campo di battaglia quarantamila scudi - e costretti a far pace, nella quale i Romani si tennero Capua, datasi loro spontaneamente, e lasciarono per contro Teano ai Sanniti (413 = 341). Vennero felicitazioni da ogni parte, persino da Cartagine. I Latini, che si erano rifiutati di mandare il contingente e che pareva si armassero contro Roma, volsero le loro armi contro i Peligni invece di volgerle contro Roma, mentre i Romani erano diversamente occupati in primo luogo per una congiura militare del presidio rimasto nella Campania (412 = 342), poi per l'espugnazione di Priverno (413 = 341) e per la guerra contro gli Anziati. Ma a questo punto cambiano repentinamente e in modo strano le condizioni delle due parti. I Latini, i quali avevano domandato invano la cittadinanza romana e l'abilitazione al consolato, si sollevarono contro Roma in unione coi Sidicini, i quali avevano indarno offerto ai Romani la loro sottomissione e non sapevano dove dare col capo per salvarsi dai Sanniti, e coi Campani ormai stanchi della signoria romana. Solo i Laurenti nel Lazio ed i cavalieri campani tenevano dalla parte dei Romani, i quali dal canto loro trovarono aiuto presso i Peligni ed i Sanniti. L'esercito latino irruppe nel Sannio; il romano-sannitico dopo entrato nella Campania, passando accanto al lago Fucino e poi vicino al Lazio, combattè la battaglia decisiva contro i Latini ed i Campani uniti alle falde del Vesuvio, battaglia vinta finalmente dal console Tito Manlio Imperioso dopo aver ricondotta la vacillante disciplina delle sue truppe persino colla condanna a morte del proprio figlio, vincitore, ma violatore dei suoi ordini; e dopo che il suo collega Publio Decio Mure aveva pacificato gli dei col sacrificio della sua persona e cogli sforzi dell'ultima riserva.
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Storia di Roma
2. Dall'abolizione dei re di Roma sino all'unione dell'Italia
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 376 |
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