I Fenici profittarono bensì delle geniali scoperte dei Babilonesi per le loro industrie, delle osservazioni astronomiche per la loro navigazione, della scrittura e dell'ordinamento delle misure per il loro commercio, e diffusero, insieme con le loro merci, più d'un importante germe di civiltà; ma non è possibile provare che l'alfabeto o qualche altra invenzione del genio umano sia di loro propria spettanza, e quei frammenti di pensieri religiosi e scientifici, che per il loro tramite giunsero agli Elleni, essi li sparsero più come l'uccello fa dei grani che non come l'agricoltore delle sementi.
Mancava interamente ai Fenici la forza di civilizzare e di assimilare i popoli suscettibili di coltura; forza di cui abbondano gli Elleni e della quale non sono privi nemmeno gli Italici. Nei paesi conquistati dai Romani la lingua iberica e la celtica scomparvero di fronte alla lingua romana; i Berberi dell'Africa parlano ancora oggi la stessa lingua che ai tempi degli Annoni e dei Barca.
3. Disposizioni politiche. Ma più di tutto difetta nei Fenici, come in tutte le nazioni aramee, che in ciò sono l'antitesi delle nazioni indo-germaniche, l'istinto della vita politica, l'ingenito pensiero della libertà, il bisogno dell'autonomia.
Mentre Sidone e Tiro erano nel massimo splendore, il paese fenicio era continuamente disputato dalle potenze che dominavano sull'Eufrate e sul Nilo, e si rassegnava ora alla dominazione assira, ora all'egizia.
Con una sola metà delle forze che possedevano i Fenici, qualsiasi città ellenica avrebbe rivendicata la propria libertà; ma i prudenti mercanti di Sidone calcolavano che più d'ogni altro tributo e d'ogni vassallaggio riuscirebbe a loro insopportabile la chiusura delle vie carovaniere e la esclusione dai porti egiziani, e perciò pagavano puntualmente le imposte, secondo che piegava il bilico, o a Ninive o a Menfi, e, quando non potevano esimersene, combattevano anche, con proprie navi, le battaglie per i re protettori.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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