Alla lor volta i Siracusani, condotti da valenti generali, quali erano Dionisio il vecchio, Agatocle e Pirro, parvero anch'essi quattro volte sul punto di scacciare gli Africani dall'isola. Ma a lungo andare la bilancia piegava sempre più a favore dei Cartaginesi, i quali erano, d'ordinario, gli aggressori, e, benchè non sapessero perseguire i loro disegni con romana perseveranza, davano almeno prova di maggior fermezza e coerenza sia nei maneggi politici, che nella guerra, mentre la città greca, straziata e boccheggiante sotto l'urto delle fazioni intestine, non poteva contrapporre che forze slegate e governi senza continuità di vedute.
E però ragionevolmente speravano i Fenici, che una volta o l'altra Siracusa sarebbe caduta in loro potere, dacchè fino allora la preda era loro sfuggita di mano per giuoco d'eventi, per una pestilenza, per un condottiero di ventura.
Ad ogni modo poi, la lotta pel primato navale era finita, l'ultimo sforzo dei loro rivali l'aveva fatto invano Pirro tentando di restaurare la flotta siracusana. Disperso il naviglio dell'epirota, la flotta cartaginese era rimasta padrona senza contrasto di tutto il Mediterraneo occidentale, e i tentativi fatti dai Cartaginesi per metter piede in Siracusa, Reggio, Taranto, provavano le forze crescenti e la grandezza dei disegni.
E mentre miravano ad assicurarsi l'egemonia del Mediterraneo, non risparmiavano i mezzi per monopolizzare il commercio marittimo, fosse esercitato dai propri sudditi o da stranieri, e secondo il loro costume non indietreggiavano di fronte ad alcuna violenza per conseguire i loro fini.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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