I Romani avevano così raggiunto il primo scopo che si erano proposto. Con l'alleanza di Messana e Siracusa, e padroni di tutta la costa orientale, si erano assicurato l'approdo nell'isola e l'approvvigionamento dell'esercito, che era stato fino allora assai precario, e l'ardua e fortunosa guerra perdeva così gran parte del suo carattere rischioso. Quindi, per continuarla, non si fecero maggiori sacrifici che per le guerre ordinarie nel Sannio e nell'Etruria: le due legioni che s'inviarono nell'isola l'anno seguente (492=262), bastarono per respingere dappertutto, mercè il concorso de' Greco-siculi, i Cartaginesi nelle fortezze.
Il supremo duce dei Cartaginesi, Annibale, figlio di Giscone, si gettò col nerbo delle sue truppe in Agrigento allo scopo di difendere fino all'estremo questa importantissima piazzaforte. I Romani incapaci di dare l'assalto alla fortezza, la bloccarono con linee trincerate e con un doppio campo e gli assediati, in numero di 50.000, mancarono ben presto del necessario.
L'ammiraglio cartaginese Annone approdò presso Eraclea onde liberare la città, e tagliò gli approvvigionamenti all'esercito assediante. Il disagio essendo grande da ambedue le parti, fu deciso di dare una battaglia per uscire dal pericolo e dall'incertezza. In questa la cavalleria numidica si mostrò tanto superiore a quella dei Romani, quanto alla fanteria fenicia erano superiori i legionari romani, che, per quanto duramente provati, decisero della vittoria.
Ma il frutto della vittoria andò perduto, giacchè, appena cessato il conflitto, e mentre i vincitori erano ancora impediti dalla confusione e dalla stanchezza, l'esercito assediato potè aprirsi una via, uscire di città, e rifugiarsi sulla flotta.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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