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      Nondimeno questo successo fu di gran giovamento alle armi romane. Agrigento, dopo la battaglia, venne in possesso dei Romani e con essa tutta l'isola, ad eccezione delle fortezze marittime, nelle quali il duce fenicio Amilcare, successore d'Annone nel supremo comando, si rafforzò con trincee e baluardi e non se ne lasciò smuovere nè per forza, nè per fame.
      La guerra ebbe fine nell'isola; fu continuata solo con sortite dalle fortezze siciliane, con scorrerie di mare e sbarchi sul litorale italiano in modo estremamente svantaggioso e gravoso per i Romani.
      6. Inizio della guerra marittima. I Romani sentirono soltanto allora le vere difficoltà della guerra. Se i diplomatici cartaginesi, come si narra, avevano ammonito i Romani prima che cominciassero le ostilità a non spingere le cose fino alla rottura, giacchè, se i Cartaginesi avessero voluto, a nessun romano sarebbe stato possibile nemmeno di lavarsi le mani nel mare, questa minaccia era ben fondata.
      La flotta cartaginese dominava il mare senza rivali e teneva ubbidienti e provviste del necessario le città poste sulle coste della Sicilia non solo, ma minacciava anche l'Italia d'uno sbarco, per cui già nell'anno 492=262 fu necessario che i Romani vi tenessero in campo un esercito consolare.
      Non si tentò una grande invasione, ma sulle coste italiche andavano approdando qua e là distaccamenti di Cartaginesi che taglieggiavano con minacce d'incendio i confederati, e il peggio di tutto era che il commercio di Roma e dei suoi confederati si trovava completamente paralizzato, e per poco che le cose fossero continuate così, Cere, Ostia, Neapoli, Taranto, Siracusa sarebbero state del tutto rovinate, mentre i Cartaginesi trovavano facile compenso al mancato tributo siciliano nelle contribuzioni di guerra e nella pirateria.


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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma
1938 pagine 371

   





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