Fecero allora prova i Romani di ciò che già avevano sperimentato Dionisio, Agatocle e Pirro, essere cioè sempre facile battere i Cartaginesi, quanto difficile vincerli. Ma s'accorsero soprattutto i Romani della necessità di avere una flotta, e decisero di procacciarsene una composta di venti navi da tre ponti e di cento da cinque ponti. Tuttavia non era facile mandare ad effetto questa vigorosa risoluzione.
Il racconto venutoci dalle scuole dei retori, secondo il quale dovrebbe credersi che i Romani soltanto allora cominciassero a metter in acqua i remi, altro non è che una esagerazione declamatoria, poichè a quel tempo la marina mercantile d'Italia dev'essere stata assai numerosa e non dovevano mancare neppure le navi da guerra.
Se non che queste erano galee da corsa e triremi, come si usavano ne' tempi più remoti; le navi a cinque ponti che secondo gli ordini più recentemente introdotti nelle guerre navali e adottati specialmente dai Cartaginesi, adoperate quasi esclusivamente in linea, non erano ancora state costruite in Italia.
La determinazione dei Romani era quindi press'a poco simile a quella che pigliasse uno stato marittimo odierno di armare navi di linea invece di fregate e di cutters; e appunto come ora si prenderebbe, in tal caso, per modello un vascello di linea straniero, i Romani assegnarono come modello ai loro costruttori nautici una quinqueremi cartaginese che si era arenata sulle spiagge italiche.
Se i Romani avessero voluto, avrebbero, coll'aiuto dei Siracusani e dei Massalioti, più sollecitamente potuto raggiungere il loro intento; ma i loro uomini di stato erano troppo avveduti per voler difendere l'Italia con una flotta non-italica.
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Storia di Roma
3. Dall'unione d'Italia fino alla sottomissione di Cartagine
di Theodor Mommsen
Stampa Aequa Roma 1938
pagine 371 |
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